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«Non riesco a capire con quale dolcezza ci attrae la terra natia e non ci permette di dimenticarla mai». Lo scriveva circa 2000 anni fa, quando era in esilio, nelle sue "Epistulæ ex Ponto" il sulmonese Ovidio che si potrebbe azzardare a chiamarlo un "abruzzese ante litteram", perché il toponimo Abruzzo al suo tempo non esisteva ancora. Azzardo per azzardo non è proibito affermare che una risposta gliel'ha data Cesare Pavese nel suo romanzo "La luna e i falò" dove, nel 1954, scrisse, scorgendo nella terra natia un paese: "Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c'è qualcosa di tuo, che quando non ci sei resta ad aspettarti".